Sindrome Compartimentale e Crush Syndrome

Le Sindromi Compartimentali sinteticamente sono sindromi da Ischemia – Ripe fusione e più specificamente è possibile distinguere sindrome compartimentale e sindrome da schiacciamento (Crush).

La Sindrome Compartimentale

È un evento ad origine localizzata nella quale una certa quantità di tessuti, contenuti in una cavità o loggia inestensibile o limitatamente estensibile, va incontro a processi di Alterata Perfusione (per compressione o altro), cui seguono Edema ed aumento della pressione intra-tissutale e quindi sui vasi, con innescamento di un circolo vizioso che conduce a profonde alterazioni cellulari ingravescenti che si ripercuotono su tutto l’organismo in modo potenzialmente devastante.

La Sindrome da Schiacciamento (Crush Syndrome)

È una sindrome da compartimentazione causata o iniziata da schiacciamento di masse muscolari che vede lo schiacciamento come evento eziologico e aggiunge gli effetti dello schiacciamento ai determinanti fisiopatologici della sindrome da compartimentazione.

Le sindromi da compartimentazione vengono distinte per regione corporea di partenza; sostanzialmente si possono distinguere le due principali sindromi Comparti- mentali:

x degli arti;

x addominale

Eziologicamente si trovano diversi eventi che conducono al circolo vizioso e in particolare: alterazioni della vascolarizzazione di varia natura; edema massivo dovuto a qualunque causa (da ischemica ad anossica, da compressiva a tossica); ustioni circonferenziali (categoria che merita un’identità propria).

Tutti questi eventi sono legati alla perpetuazione di un circolo vizioso che può cominciare in un punto qualunque del circolo o loop:

x ischemia;

x alterazioni vascolari;

x edema;

x riperfusione;

x schiacciamento;

x ritorno in circolo di patogeni con conseguenze sistemiche.

L’ Ischemia e l’Anossia preparano il terreno, generando una profonda sofferenza cellulare per cui una parte delle cellule muore e libera il citoplasma nell’interstizio, una ulteriore sofferenza cellulare con edema che peggiora la perfusione, un’altra parte delle cellule soffre e diventa più vulnerabile e incompetente alla propria funzione. Ciò che accade nella prima fase risulta ancora poco dannoso rispetto a quello che avviene nella seconda, in cui il circolo riprende a funzionare tanto che è possibile dire che il “Killer” più temibile è la Riperfusione.

Le conseguenze sopracitatate portano facilmente a complicanze sistemiche quali:

x Insufficienza Renale Acuta;

x Sofferenza epatica e neurologica;

x Inibizione performance cardiaca ed aritmie;

x Alterato VA/Q da microembolie polmonari;

x Stato infiammatorio sistemico analogo alla sepsi;

x Disregolazione microcircolo e danno endoteliale;

x Shock irreversibile; D.I.C.; A.R.D.S.; M.O.F. (MOSD).

Cenni Clinici

La valutazione clinica si basa sul sintomo più caratteristico: il Dolore.

Esso è caratteristicamente intenso, ingravescente fino a giungere ad essere intollerabile e sproporzionato alla lesione. Il dolore compare dopo un intervallo libero di durata variabile, compreso tra una e 72 ore. Tale dolore è spesso definito urente e profondo. Tipicamente esso si esacerba anche con un lieve allungamento dei muscoli del compartimento coinvolto (es.: piccoli spostamenti in caso di estrazione). Anche il sollevamento dell’arto sopra il livello del cuore può esacerbare i sintomi attraverso una riduzione della pressione di perfusione. Inoltre possono presentarsi tipicamente parestesie alle estremità. Poiché la motilità del compartimento affetto spesso è conservata nelle prime fasi, questa non permette di escludere la presenza di una sindrome compartimentale acuta in evoluzione.

La presenza di dolore,  con  le  caratteristiche  precedentemente  esposte, è quindi il fattore clinico più importante per il riconoscimento e dovrebbe immediatamente indurre il sospetto di questa condizione. Pazienti incoscienti, non collaboranti, paraplegici da frattura midollare o che comunque non possono riferire il dolore sono

a rischio di mancata diagnosi della sindrome. In questi pazienti l’evento e l’esame obiettivo sono l’unico strumento che permette di porre il sospetto di Sindrome da Compartimentazione acuta. L’anamnesi positiva per un trauma ad alta energia ed anche per eventuali preesistenti patologie della coagulazione o terapia anticoagulante dovrebbe far sorgere il sospetto clinico.

L’esame obiettivo è cruciale al fine della conferma della diagnosi. L’arto si presenta gonfio, teso, con il compartimento affetto di consistenza aumentata e talvolta lignea. In alcuni casi possono essere presenti flittene. È fondamentale ad esempio il confronto con l’arto controlaterale. Nella vera Crush Syndrome, tipico riscontro del soccorso territoriale (in particolare nelle maxiemergenze e nei disastri), poiché il danno avviene sistematicamente in qualsiasi tessuto nel momento in cui viene ripristinata la circolazione sanguigna dopo un periodo di ischemia, è essenziale prevenire per quanto possibile le conseguenze.

COME SI INTERVIENE: MANOVRE E TERAPIA CONSIGLIATE

Sicurezza dei soccorritori e dello scenario.

  1. Quick look clinico con approccio ABCDE
  2. Valutazione primaria del paziente e stabilizzazione delle funzioni vitali
  3. Valutazione secondaria con anamnesi ed esame obiettivo per valutare le possibili diagnosi differenziali.
TERAPIA INDICATA IN EMERGENZA:

Il fulcro della terapia è prevenire la devastazione della fase sistemica del problema. Oggetto del trattamento deve essere il paziente e non solo l’arto; in ogni caso la protezione dal danno sistemico, se necessario, deve comunque avere la priorità sul danno locale. È possibile e necessario inquadrare il problema su tre fasi di Gestione della Tempistica:

  1. preparazione (Priming del paziente) dell’intero organismo del malato ad affron- tare questo ineluttabile dramma biochimico;
  2. gestione della fase di Riperfusione;
  3. gestione della fase successiva alla Riperfusione (OSPEDALIERA).

Possiamo denominare T0 (Tempo 0) il momento in cui inizia l’intervento di soccorso sanitario, presumendo che la situazione ischemica si sia già instaurata da sufficiente tempo per essere grave e/o che la durata delle operazioni di “liberazione” dell’arto o del paziente sia tale da essere lesiva o ulteriormente lesiva.

Sarà invece chiamato T1 (Tempo 1) il deleterio momento della riperfusione che sarà gestito dall’équipe sanitaria territoriale. Pertanto si ricordi che la “liberazione” non necessariamente dovrà coincidere con la “riperfusione”, finché non saranno stati completati i passi terapeutici necessari.

Si considera che la durata di un’ischemia sia potenzialmente pericolosa dopo due o tre ore che si è instaurata; al di sotto delle due ore non è pericolosa, ma certa- mente non risulta indifferente.

Essendo il problema biologico legato al binomio “Ischemia – Riperfusione”, nel concetto di tempistica è strategica la necessità terapeutica di poter gestire il momento della riperfusione, in maniera consona. Pertanto si impone la necessità di posizionare un laccio che consenta, se stretto prima che l’arto venga intempestivamente liberato dall’ischemia, di rendere questo tempo vantaggioso, ritardandolo se necessario della quantità utile.

L’intero organismo deve essere quindi oggetto di un “Priming” farmacologico e funzionale che permetta di ridurre i danni sistemici. Pertanto il laccio deve essere posizionato subito e stretto se e quando si rendesse necessario, cioè se la liberazione dell’arto fosse troppo precoce rispetto al completamento del Priming.

In quest’ottica il Paziente dovrà ricevere:

  1. Sostegno completo delle funzioni vitali (nel Soccorso, ABC prima di tutto);
  2. Monitoraggio e sostegno di circolo, tale da garantire, se possibile, una Gittata Cardiaca buona ed una buona perfusione d’organo e periferica (inotropi se necessario e se possibile vasodilatatori, utili per diversi motivi);
  3. Diuresi forzata e mantenuta costante nel tempo (il rene è la prima vittima della tossicità sistemica); la diuresi abbondante deve garantire un’estrema e costante diluizione dei soluti urinari che altrimenti intaserebbero i tubuli.

La terapia specifica è quindi basata su:

x infusioni generose con liquidi endovena con un bolo test di 10 ml/kg (o più se ipovolemico), poi mantenimento secondo fisiologia con compensazione delle perdite e bilancio idrico tenuto in pari con diuresi. Utilizzare insieme Colloidi   e Cristalloidi (piuttosto che solo cristalloidi). Se età infantile, i Cristalloidi devono essere costituiti da Glucoelettrolitica; mai utilizzare Glucosata senza la contemporanea presenza di elettroliti!

x promozione della diuresi (ragionevole se ≥ 3 ml/kg/h): utilizzare Mannitolo per la promozione della diuresi con dose test 0,2 g/kg in 10’; se riparte la diuresi infondere ulteriori boli secondo necessità e risposta (50-100 g per volta in 60- 90’); somministrare successivamente Furosemide a basse dosi, refratte nel tempo se necessario.

Farmaci di complemento per la terapia:

x scavengers per ridurre l’impatto biologico dei radicali liberi; il Mannitolo, se non già somministrato, che agisce anche come scavenger con il dosaggio precedentemente riportato.

x steroidi, come stabilizzatori di membrana e inibitori della cascata infiammatoria (consigliabili dosi significative quali 10 mg/kg di metilprednisolone);

x bicarbonato, soprattutto durante la seconda e terza fase, per contrastare le valenze acide, inevitabilmente presenti

x antiaggreganti, per ridurre le problematiche del microcircolo (acetilsalicilato di lisina a basso dosaggio: 250 mg die e.v.).

Ogni altra terapia sia necessaria a livello sistemico. Se non si è già messo in atto in precedenza è opportuno predisporre al più presto:

x sedazione, analgesia, e protezione termica

x gestione vie aeree e della ventilazione.

Il Priming

La fase di preparazione o priming del paziente, consiste appunto nel farlo arrivare al cruciale momento della riperfusione con le carte biologiche in regola. A questo serve il tempo che deve trascorrere prima che si riperfonda consapevolmente ossia ad iniziare la terapia!.

Fase riperfusiva

Con questa strategia si renderanno meno gravi le conseguenze, sia della riperfusione dei tessuti ischemici, sia del ritorno in circolo dei tossici liberati da questi ultimi.

Fase finale

La terza fase, avviene prevalentemente in ospedale e comprende, oltre alla continuazione di quanto sopra: la somministrazione precoce e generosa di plasma, l’utilizzo precoce dell’emofiltrazione, il ricorso alla fasciotomia e l’eventuale amputazione della parte di arto interessata dalla crush. Anche il trattamento con terapia iperbarica, effettuato appena possibile nei giorni successivi, può dare in alcuni pazienti un importante contributo alla loro guarigione.

MANOVRE E PROCEDURE SCONSIGLIATE

Non eseguire il “Priming” o cimentarsi ad eseguire fasciotomia in loco in un setting “sporco”.

RACCOMANDAZIONI “BEST PRACTICE”

Il Trattamento ottimale sarà sempre devoluto all’ambiente ospedaliero ma risulta sempre opportuno:

x Dedicare al priming tutto il tempo necessario

x Definire il T0 ed il T1 e il momento del posizionamento del laccio

x Rivalutare l’ABCDE (con intento interventistico) dopo 10-15 minuti dalla riperfusione.